Lago di Dimon e monte Paularo

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         29 mag 2020 23:43
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CASTEL VALDAIER, LAGO DI DIMON E MONTE PAULARO


Lo sapevi che i sentieri della Carnia furono calcati dalle ruote grasse delle prime mountain bike già agli inizi degli anni ’90?


Pochi appassionati, uniti dal comune amore per questa disciplina importata dall’America, cominciarono ad individuare e percorrere i tratti più spettacolari della montagna carnica in sella alla propria bicicletta. Nacquero così i primi single track, furono posate le prime tabelle segnaletiche, organizzate le prime competizioni su questi percorsi. L’embrione di quel fenomeno ciclistico che, ad oggi, ha assunto dignità e vive di vita propria grazie ad un territorio montuoso che si presta particolarmente alla pratica di questa disciplina. 

Tra i percorsi allora individuati e segnalati, quello del Monte Paularo è senza ombra di dubbio uno dei più rappresentativi. Un anello evergreen perché compendio di tutto ciò che il biker va cercando stringendo il manubrio: ampi panorami, salite sempre pedalabili, angoli di silenzio e natura impareggiabile, discese veloci che si alternano a tratti più tecnici e divertenti. Insomma, un anello da provare assolutamente.

Memore delle emozioni allora regalatemi da questa cavalcata, torno dopo anni di distanza al parcheggio del caratteristico Castel Valdaier dove abbandono l’automobile e salgo in sella. L’originale edificio di epoca quattrocentesca è stato riadattato nei secoli a struttura turistica e in parte conserva ancora la memoria di uno stile di costruire antico.

La pedalata è fluida in questo primo tratto dalla pendenza dolce e il fondo asfaltato. È una lunga traversata sulle pendici meridionali del Monte Neddis, una striscia dal fondo ben battuto da seguire verso l’alto, verso quelle dorsali verdi che segnano il cielo. Le cime dirimpettaie scrutano le mie fatiche e il vento fresco di quassù mi porta gli aromi di questi prati, dei loro fiori e dell’aria fine che pervade questi spazi. L’ascesa è costante e senza strappi. I copertoni aderiscono a meraviglia a questo fondo di buona qualità, una strada alpina che serpeggia verso quella cima che inizio ora ad intravedere.
Tra i tornanti della strada un ruscello mi distoglie dalla fatica dell’ascesa, le stesse acque figlie di quello spettacolo liquido che mi si rivela poco oltre, appena aggirato il costone della montagna. Lo scenario dove giace il piccolo laghetto di Dimon, bacino di origine glaciale, mi strega a tal punto che non posso esimermi da una lunga sosta sulle sue verdi rive prative. Risalgo in sella per pedalare nuovamente la strada che sale ancora ad ovest, accompagnato dai fischi delle marmotte e da un esemplare maestoso di aquila che volteggia sopra il mio cielo. Oltrepasso la diroccata malga Montelago e miro al culmine di questo percorso, il monte Paularo. Voglio portare la mia bicicletta fino alla punta dei miei sforzi odierni e quindi mi inerpico, con qualche fatica in più, verso la cima con la bicicletta in spalla. Un breve sforzo ripagato dalla vista che si apre una volta giunto in vetta: sono solo di fronte ad un lungo tratto della catena carnica con le montagne più importanti a fare da scenario. C’è la cima più alta del Friuli, il Coglians, a un passo da me che pare possa toccarla. La Creta Cjanevate e la Creta di Collina segnano il cielo verso occidente con le loro pareti grigie.

La scorpacciata di panorama si mischia ora al divertimento della discesa. Rientro brevemente sulla via di salita e poco oltre la malga seguo il sentiero CAI 404 verso le creste del monte Dimon. Una breve risalita dà il “la” all’aerea cavalcata della dorsale, un’entusiasmante discesa lungo single track e passaggi tecnici che si susseguono senza soluzione di continuità. Oltrepasso le intere pendici del monte Neddis e continuo giù sino alle vecchie piste da sci, nei pressi di una minuta costruzione. La discesa è entusiasmante ed alterna tratti più battuti e semplici a passaggi tecnici su ciottolato dove devo impegnarmi a fondo per scegliere la giusta traiettoria.
Un ultimo tratto di mulattiera veloce mi riporta al punto di partenza tra radure e boschi che si fanno vigorosi.
Trent’anni fa la mia bicicletta era priva dell’attuale tecnologia, senza ammortizzatori e con un peso atroce. Oggi con la mia enduro, simile ad un’astronave con i pedali, ho calcato nuovamente gli stessi sentieri.


Perché in fondo, le emozioni che questo percorso regala, non temono né la vecchiaia né la tecnologia.


Omar Gubeila
Foto Marino Di Lenardo





Percorso indicativo - Google Earth


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