I confini dimenticati di cima Avostanis

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         02 mag 2020 00:48
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I CONFINI DI CIMA AVOSTANIS


Quando voglio prendermi una pausa dai ritmi frenetici d’oggi, indosso i miei scarponi e parto. Una pubblicità tempo fa recitava “contro il logorio della vita moderna” e consigliava la consumazione di una particolare bevanda alcolica… Ci penso, e sorrido, mentre risalgo uno dei sentieri che costellano le Alpi Carniche.

Da poco ho lasciato il paese di Timau, ultimo borgo della Carnia prima del confine austriaco, per inerpicarmi lungo le pendici meridionali del Gampspiz. Camminare in Carnia è il mio modo di staccare la spina, di trovare quel benessere che solo la montagna sa trasmettermi.
Questi versanti boscati mettono pace all’anima e il ritmo cadenzato dei passi permette un’ipnosi che dà spazio ai pensieri.

È così che la slanciata mole del Gamspiz, o Pizzo del Camoscio come lo chiamano quassù, svetta sopra alla mia testa e diventa improvvisamente la guglia del cartone animato Heidi, assieme alla Creta di Collina che chiude ad ovest quest’orizzonte.      
Pensieri allietati in questo tratto dalle scroscianti acque del Fontanon di Timau, sorgente sotterranea dalle origini ancora misteriose.

Pensieri che si fanno cupi e riconoscenti più su, quando il sentiero assume dignità di mulattiera e conduce alle prime radure della zona prativa di casera Pal Grande di sotto (1550m) dove i pascoli d’alta quota seguono al meraviglioso bosco di faggio sin qui attraversato.

L’intera zona del Pal Grande fu teatro di sanguinarie battaglie nella prima guerra mondiale e le memorie di quanto avvenuto si susseguono lungo il mio andare. A lato del sentiero, i resti di quei giorni di sangue ricordano le vicende di uomini buttati a difendere un confine di cime. La dorsale che si alza gradualmente poco oltre il mio sguardo è infatti una linea immaginaria contesa per tre anni da battaglie, lacrime e sangue degli eserciti avversari. Restano dei piccoli cippi bianchi e una memoria che non dev’essere dimenticata. 

Preferisco pensare ad altro, alla mole possente della Creta di Timau che segna l’orizzonte a meridione, alle placide mucche clandestinamente sconfinanti che schivo. Capita che ti distrai un attimo a mangiare dei mirtilli e ti trovi in un paradiso fatto di luci, boschetti e radure che sembrano disegnati dalla matita del migliore artista. Non faccio più nemmeno fatica perché procedo su terreno quasi pianeggiante. Che estasi! Da piantarci la tenda e fermarsi, a capire cosa conta veramente nella vita. Questi interrogativi mi accompagnano poi durante l’ultima ascesa della giornata, quella alla cima del Monte Avostanis.

Chi me lo fa fare di passare la vita davanti ad un computer, consumando quell’esistenza che è una sola, a rovinarmi
la vista e l’umore? Mi chiedo se i boscaioli che lavorano qua sotto, poco oltre il Pal Grande, hanno idea di cosa sia lo stress, se vivano sereni nel loro fare silvestre. Cerco un’ombra di malcontento anche nel volto tracagnotto del pastore che poco oltre incrocio. Sta radunando le sue vacche chiamandole a toni bassi, non serve neppure urlare in questo paradiso. E le mucche dietro, come cagnolini.

I miei passi calcano ora pendenze sempre più panoramiche con il guadagno di quota. Raggiungo lo spartiacque con un tratto più ripido, nuovamente in bilico tra Italia ed Austria. Mi concedo una pausa per imprimere nella memoria quello che i miei occhi stanno vedendo, ma già so che non basterà un ricordo a tenermi lontano da questa bellezza e, fortunatamente, le Alpi Friulane sono sempre qui ad aspettarmi. Svettano a breve distanza le moli dei monti Coglians e Cjanevate, la verde valle dell’Angertal è dominata dalle pendici del monte Polinik e tutta la dorsale del Pal Piccolo e del Pal Grande. 

È già ora di discesa, sui prati che guardano a sud verso la valle del But che si staglia nitida in sottofondo. La conca del lago di Avostanis, che raggiungo in breve, è sempre stata uno dei miei scrigni preferiti. Uno specchio d’acqua turchese sovrastato da grigie pareti calcaree, muri verticali dove ho passato intere giornate tra corde e moschettoni ad arrampicare. 
Divago sulle brughiere alpine del Passo di Pramosio e della malga, cullato dai cespugli dei rododendri e dai campanacci delle mucche. Il vento del nord che sfiora il passo mi indica la via per la discesa. Lascio quest’oasi per lo spirito gettandomi a capofitto nel bosco bandito di Timau e nelle sue piante centenarie, custodi del silenzio prezioso che la natura sa ancora regalarci.    

Omar Gubeila
foto copertina Federica Gortani


Percorso indicativo - Google Earth

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